Il "caso Autismo": la nuova frontiera e' comprendere la neurodiversita'

Esperti a confronto in Sant'Agostino. «Il punto non è portare la persona autistica a diventare "normale", ma riconoscere le sue risorse per l'inserimento sociale».

BERGAMO. Alla fine, il caso serio dell'autismo è l'organizzazione del contesto, la decisione collettiva di dare o no cittadinanza a persone che non possono non esprimersi in modo diverso, essendo il funzionamento del loro cervello, la ricezione delle percezioni (senza filtri), il modo di immagazzinare i dati (visivo, per dettagli) geneticamente diverso. La «neurodiversità» è la nuova frontiera dell'autismo, utile a integrare almeno i soggetti affetti da sindrome di Asperger, ad alto funzionamento intellettivo, portatori di un pensiero particolare e di abilità specifiche superiori alla media. In una parola, geniali ma socialmente spiazzanti. In un'aula di Sant'Agostino stracolma di studenti, genitori e operatori ne hanno parlato Theo Peeters e Hilde De Clercq del centro per l'autismo di Anversa, al convegno organizzato da Cooperativa Zefiro e Comune di Bergamo (presente con l'assessore Leonio Callioni) in collaborazione con Università, Spazio Autismo, Cooperativa Città Alta. Rispettivamente fratello e madre di autistici, i due esperti internazionali hanno sottolineato la necessità di un cambio di visuale: occorre entrare nella mente autistica, comprendere il motivo di reazioni che sembrano assurde e organizzare la realtà in modo che possa essere vivibile da tutti. Peeters ha spiegato il concetto di «neurodiversità»: «Gli autistici non diventano "normali", chi parla di cure miracolose o è ignorante o è un criminale che approfitta degli altri. Il punto non è portare la persona autistica ad essere "quasi normale" ma riconoscere nella sua diversità costitutiva (che è la sua normalità da rispettare) i punti di forza e le strategie di contesto che possono essere sviluppate per garantirgli un inserimento sociale soddisfacente». Pensatori percettivi e non concettuali, gli autistici ad alto funzionamento stanno elaborando una loro cultura che sta aiutando i «neurotipici» a comprenderli meglio, ma anche gli autistici a penetrare i segreti degli altri, come il giusto modo di guardare in faccia un interlocutore per ottenerne l'attenzione senza metterlo in imbarazzo. Per gli autistici, per esempio, «le facce sono difficili da interpretare perché danno troppe informazioni che cambiano continuamente. Ciò che è per la maggioranza istintivo, da loro deve essere appreso scientificamente, come da antropologi che studino una civiltà diversa». Ma un cammino è stato intrapreso ed è un momento di passaggio verso una miglior convivenza. Se Peeters ha parlato soprattutto di Asperger, Hilde De Clercq ha portato l'esperienza di un autismo associato a ritardo mentale, caso comune nello spettro autistico. «Ciò che preoccupa i genitori -ha spiegato raccontando una lotta lunga 28 anni - non è l'autismo in sé, ma l'accoglienza della società. Perché tutti i genitori vogliono per i figli una buona qualità di vita in un mondo reale, non artificiale. La qualità di vita per un adulto significa soprattutto autonomia, rispetto della dignità personale, lavoro adeguato, rapporti umani». Dalla diagnosi precoce, all'educazione, alle strategie riabilitative non bisogna mai perdere di vista che l'obiettivo è una vita adulta soddisfacente, entro i limiti e le caratteristiche di quella particolare persona: occorre osare nuove vie, per l'autistico come per chiunque altro. Per secoli (come ha mostrato la relazione a taglio storico di Pietro Barbetta dell'università di Bergamo) l'autistico è stato sbrigativamente catalogato come idiota e e variamente e dolorosamente malinteso. L'autismo ha cominciato a «spiegarsi» solo quando gli autistici stessi hanno cominciato a parlare e scrivere di sé, abbattendo pregiudizi e stereotipi. Dare cittadinanza piena agli autistici significa anche un'organizzazione in rete (vera) dei servizi, dotata di risorse coordinate condivise e competenze solide. Bergamo non è sguarnita, ma le famiglie sono ancora troppo sole e una salto di qualità deve essere deciso e attuato. Ne hanno parlato a chiusura della giornata Giuliana Sandrone per il ruolo dell'università come formatrice di formatori, Antonella Giannellini per la scuola («Siamo attenti all'inserimento, sono 300 i ragazzi di Spazio Autismo, le reti ci sono ma vanno rafforzate»), Luciano Nicoli e Cristina Borlotti per l'Asl, Marco Rho per i servizi di neuropsichiatria. Ha concluso Va nni Maggioni, presidente della Cooperativa Zefiro, auspicando il passaggio dai progetti alla continuità e l'attenzione per l'autismo adulto: «Occorre superare la precarietà dei percorsi che spesso finiscono con l'esaurimento delle risorse disponibili una tantum, per gli adulti dobbiamo pensare alla residenzialità» .


 

Condividi su Facebook