Il caregiver familiare ed i diritti negati a quella meravigliosa gente

Medito da tempo un post, ma è difficile da buttar giù. L’argomento è ben definito, ma renderlo udibile al grande pubblico senza suscitar sbadigli, considerandolo tema da addetti ai lavori, richiederebbe una capacità di spaziare ed approfondire con leggerezza che un po’ mi spaventano. E poi c’è la complicazione che il tema è in veloce fase di sviluppo. Ergo ogni momento per affrontarlo può essere obsoleto rispetto all’immediato passato o prematuro rispetto all’immediato futuro. Mi armo di sangue freddo ed inizio a parlare di caregiver familiare.

È d’uopo partire dalla terminologia: caregiver è colui che si prende cura di una persona, persona che verosimilmente si trova in condizioni di non autosufficienza o per anzianità o perché disabile. In prima approssimazione, quindi, esso si presenta con un ruolo preciso, che è quello di prendersi cura, e ciò indurrebbe pensare che si tratti di una esatta figura professionale. Non è così. Anzi lo è ma non formalmente, almeno in Italia. Su questa discrepanza si fonda un discorso molto più ampio che porta alla rivendicazione del diritto al riconoscimento della figura del caregiver nel nostro Paese, ma questo lo approfondiremo fra un momento. Prima bisogna chiarire i contorni del ruolo.

Il caregiver, come detto, si prende cura della persona, ossia svolge funzioni impegnative significativamente delineate, tuttavia non sempre, ed in Italia quasi mai, è un professionista pagato per ricoprire la sua funzione. Generalmente, infatti, si tratta di familiari della persona non autosufficiente che assolvono l’incarico. Così nasce la figura del caregiver familiare che, di fatto, è una persona che dedica la totalità del suo tempo al congiunto bisognoso. Un’azione meritoria, insomma, ma che richiede un impegno smisurato.

Chi sta accanto ad una persona non autosufficiente si trova a fondere la sua esistenza con quella dell’altro. Talvolta, anzi spesso, a rinunciare essa stessa alla propria porzione di compartecipazione all’esistenza altrui. Faccio un esempio: prendiamo un genitore che d’improvviso si trova di fronte un figlio che diventa disabile, e disabile grave, per un incidente stradale. Che succede? Chi se ne occupa? La famiglia.

In Italia funziona così e non perché siamo un popolo di mammoni. Sono le circostanze, nella maggior parte dei casi, ad imporre ai genitori di dedicarsi giorno e notte, fino a rinunciare a se stessi, alla cura dei propri figli. Magari con l’assistenza di personale fornito dal sistema sanitario, ma nell’incompiutezza della presenza statale, che non è mai sufficiente.

Allora questa gente, pur con tutto l’amore del mondo, alle volte rinuncia al lavoro, alle ferie, ad intraprendere nuove relazioni, ai propri passatempi… per vestire, imboccare, spostare, pulire, grattare, interpretare, fare la spesa, procacciare denaro, far di conto e tutta un’infinità di azioni che nessun altro fa a regola d’arte. E se non si fanno la persona non autosufficiente non… Non, punto. C’è altro da aggiungere?

Questa meravigliosa gente che assiste finisce per logorarsi più facilmente degli altri. Proprio partendo da uno studio delle condizioni del caregiver familiare, val la pena di ricordare, la ricercatrice Elizabeth Blackburn si è aggiudicata nel 2009 il Nobel per la medicina. E la ricerca ha snocciolato dati impietosi, facendo emergere che lo stress cui è sottoposta questa meravigliosa gente ne riduce le aspettative di vita dai 9 ai 17 anni.

Il quadro è questo e non può piacere, perciò da anni c’è chi si batte tenacemente scrivendo, denunciando, sfilando e con ogni mezzo lecito sino ad essere ricevuto in parlamento europeo o al Quirinale.

Fervido emblema di tale lotta è il Coordinamento nazionale famiglie di disabili gravi e gravissimi, la cui presidentessa è Maria Simona Bellini Palombini. A lei chiedo quali siano le principali rivendicazioni del coordinamento e quale la differenza fra Italia e resto del mondo. Mi risponde così: «L’Italia è l’unico Paese europeo a non aver ancora riconosciuto giuridicamente la figura del caregiver familiare – perfino le nazioni che consideriamo più indietro sui diritti sociali, come Grecia, Polonia, Romania, lo hanno fatto. Con una petizione sottoscritta da oltre 40.000 persone (e le firme continuano ad arrivare), alla quale il parlamento europeo ha riconosciuto la procedura d’urgenza, un primo importante passo è stato fatto e le istituzioni italiane si sono viste recapitare dure note di invito all’azione per il riconoscimento di tutele previdenziali, assicurative e, soprattutto, sanitarie per i caregiver familiari del nostro Paese».

Il problema, continua a raccontare la presidentessa, «dell’accesso mancato ai diritti umani fondamentali quali riposo, salute e vita di relazione» ad oggi resta. Così il coordinamento, prosegue la Bellini: «Ha avviato, con il sostegno economico dei propri soci per le necessarie spese legali, un ricorso presso il comitato per il rispetto della convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, convenzione ratificata in Italia nel 2009 ma mai applicata né per quanto riguarda la persona disabile stessa né per la famiglia che se ne cura. Puntiamo ad una vera e propria sentenza sovranazionale. Coloro che volessero partecipare al nostro ricorso presso l’Onu possono chiedere informazioni a info@famigliedisabili.org o collegarsi all’evento Facebook Ricorso all’Onu per le persone e le famiglie con disabilità.

Non è la prima volte che il Corriere, e segnatamente questo blog, si occupano di caregiver, ma volevamo restare sul pezzo perché c’è sempre del nuovo, come il ricorso all’Onu. E poi io tenevo in maniera particolare a raccontare di questa meravigliosa gente suo malgrado, pur sapendo che non sarebbe stato facile.
di Antonio Giuseppe Malafarina 


 

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