Il software dei ragazzi autistici "Cosi' impariamo a comunicare"

L'AQUILA. «Avevano il nostro stesso problema geni come Einstein, Steve Jobs e Alan Turing» attacca Stefano, 22 anni. «Rispetto a tutti gli altri, noi abbiamo un livello di percezione diverso» aggiunge Federico, 19. «Non è facile, ma dobbiamo lavorare perché ognuno di noi possa avere una vita normale» chiude Massimo, trentenne. Vivono in Abruzzo, sono tutti diplomati: il primo all'istituto per programmatori, il secondo alla scuola alberghiera, il terzo allo scientifico. E sono autistici. Affetti da quella che una volta era conosciuta come sindrome di Asperger e oggi è classificata come autismo ad «alto funzionamento». Un disturbo che influisce su alcune capacità cognitive e, a causa della difficoltà a interpretare gli stati d'animo e il pensiero altrui, impedisce di avere relazioni «normali» con il mondo. È proprio questo che ha spinto i ragazzi sotto la guida del team di Neuroscienze dell'Università dell'Aquila diretto da Monica Mazza e del Centro di riferimento regionale per l'autismo coordinato da Marco Valenti a elaborare un software per aiutare le persone con i loro stessi problemi a capire meglio gli altri e quindi a interagire più facilmente. «Il programma riproduce in sequenza, sul volto di un Avatar in 3D al quale a breve daremo anche la parola spiega Federico , le diverse espressioni del viso: rabbia, gioia o sorpresa. Osservando le immagini, chi soffre di autismo come noi può imparare a leggere i volti e i sentimenti di chi si trova davanti». Insomma, uno strumento per adattarsi più facilmente alla realtà. Il progetto ancora in via di sperimentazione è il primo in Italia e tra i primi in Europa a essere stato messo a punto e testato da giovani autodidatti affetti in prima persona da questo disturbo. Nei giorni scorsi il programma è stato presentato all'Aquila in occasione di un convegno a cui hanno partecipato medici ed esperti internazionali. Massimo, diplomato al liceo scientifico, proprio grazie a questo progetto è riuscito a venire fuori dal suo isolamento. «Dopo il diploma racconta nella sede del team di Neuroscienze mi sono iscritto all'università, a Parma, e sono stato lì per cinque anni. Ho cambiato varie facoltà, da Lettere a Economia. Ma poi ho interrotto gli studi e sono tornato nella mia città». Non è facile per lui, come per tutti gli autistici, avere relazioni stabili con i suoi coetanei o con persone che hanno interessi simili ai suoi. «Il lavoro che stiamo facendo insieme mi permette di incontrare altri ragazzi e, nello stesso tempo, essere d'aiuto a chi ha i miei stessi problemi». La professoressa Monica Mazza ricorda di quando lo ha conosciuto: Massimo non usciva di casa da qualche anno e i genitori erano estremamente preoccupati. Per lui, invece, una volta fatta l'abitudine e preso quel ritmo, l'esistenza scorreva normale, scandita da una grande passione: il computer e le piattaforme «open source» di scambio delle informazioni. «Ho iniziato a studiare Informatica da autodidatta, senza seguire alcun metodo standard ma facendomi guidare semplicemente dall'esigenza di trovare strumenti e soluzioni migliori» racconta. Così, il passaggio al progetto degli Avatar è stato facile. Lì ha conosciuto Federico, che ora è un suo amico. Appassionato di musica di tutti i generi, «dalla classica all'heavy metal», sensibile e curioso, ironico. Rivolge lo sguardo a Massimo, fa una pausa e, con una punta di invidia, ammette: «Con lui faccio il progetto, ma spero anche, sfruttando il suo fascino, di conoscere qualche ragazza carina...». Le risate stemperano la tensione iniziale. E Federico confessa il desiderio più grande: «L'integrazione fra noi e gli altri, fra "neuro-atipici" e "neuro-tipici", il poter condurre finalmente una vita normale e appagante». Lo psicologo australiano Tony Attwood, il più grande esperto di sindrome di Asperger, era convinto che ragazzi come lui «non soffrono a causa della sindrome, ma a causa delle persone che li circondano». L'ultimo a parlare di sé è Stefano, il coach del gruppo, il motivatore. «Loro sono i programmatori dice ma senza di me, che li sostengo sempre, non farebbero nulla». Alla presentazione manca Francesco, è impegnato negli esami di maturità al liceo linguistico ma è come se fosse qui con gli altri compagni. Anche lui fa parte dell'«avatar team» e tutti ci tengono a ricordarlo. La rete di «mutuo sostegno» fra i quattro è indistruttibile. E vale forse più del progetto che li aiuterà a brevettare il software e in futuro, se tutto andrà bene, a creare tramite uno spin off universitario un'azienda vera e propria che impieghi altri ragazzi affetti da autismo. 

di Nicola Catenaro

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