Sacramenti per tutti? Inchiesta sulle parrocchie “accessibili” a tutti i disabili

 ROMA - Alcuni bambini autistici hanno ricevuto la prima comunione a Treviso, nel maggio scorso. Una giornata indimenticabile per Giampietro, Ottavio e Federica, che si sono ritrovati con le loro famiglie e alcuni amici nella chiesa della Madonnetta a Santa Maria del Rovere. Sembrerebbe un evento scontato e invece no: a Napoli una mamma di un ragazzo con autismo si è vista rifiutare il sacramento per suo figlio, ancora non pronto a riceverlo secondo il parroco. Quindi i sacramenti sono davvero accessibili alle persone disabili credenti che chiedono di riceverli? Affronta il tema un’inchiesta sul numero di ottobre del mensile SuperAbile Magazine (http://www.superabile.it/sfogliatore/index.aspx?pagina=8).

I tre ragazzi trevigiani si sono preparati in maniera particolare all’evento. Anzitutto il parroco, don Adelino Bortoluzzi, ha accolto con disponibilità la richiesta di un gruppo di genitori della Fondazione Oltre il labirinto. Inoltre è stato cruciale il supporto dello psicologo Stefano Castiglione, che “ha preparato i ragazzi a questo momento” con un percorso di avvicinamento al sacramento, riferisce Alberto Cais, presidente della fondazione. “Per chi ha una sindrome autistica le celebrazioni sono spesso difficili da gestire. Quindi la cerimonia è stata studiata nei minimi particolari e sapientemente tarata: dalla scelta delle musiche all’omelia breve ma incisiva”, evidenzia Mario Paganessi, padre di Giampietro e direttore generale di Oltre il labirinto.

Anche Arturo Mariani, universitario diciannovenne nato senza una gamba, non ha avuto problemi ad accedere ai sacramenti ma una corsia preferenziale, per così dire: la sua catechista era la madre Gianna, ora alle prese con l’inserimento di una bambina Down nel gruppo di cresima. “Sicuramente sono importanti gli stili con cui si fa catechesi, spesso ancora ancorata a metodi scolastici”, osserva Stefano, padre di Arturo e membro con la moglie dell’Ordine francescano secolare a Guidonia, in provincia di Roma ma diocesi di Tivoli. Che si chiede: “Come rendere le comunità ecclesiali ancora più inclusive e accoglienti nei confronti delle persone disabili? Il problema va visto a 360 gradi: forse manca l’accoglienza in generale, che richiede sensibilità, coscienza, disponibilità, preparazione. E amore, prima di tutto”.
Oltralpe non mancano segnali che fanno ben sperare. Anne Herbinet, pedagogista e responsabile nazionale del Settore per la catechesi ai disabili della Conferenza episcopale francese, riferisce che nella diocesi di Grenoble i catechisti hanno inventato “una pedagogia particolare per permettere ai giovani colpiti da autismo di cui si occupano di partecipare al sacramento della riconciliazione”. Dato che non parlano, ma sono abituati a usare i pittogrammi, dopo aver avvertito il sacerdote che faceva le confessioni “hanno utilizzato dei sassi dipinti per esprimere la loro colpa e il peso dei loro peccati, scegliendo quelli su cui era raffigurato ciò che volevano esprimere, portandoli in una piccola borsa consegnata al confessore”. Che vede i messaggi e “libera” dal peso dei sassi. “Poi consegna loro, come segno di riconciliazione, un pittogramma di perdono, di pace, di gioia”.

Ma anche in Italia le parrocchie possono fare molto per una maggiore inclusione, “anche se non è facile per tre motivi – snocciola Laura Previdi, insegnante di Lettere in pensione, autrice del volume Parole in libertà. Diario semiserio della madre di un disabile (Paoline) e madre di Marco, 42 anni, con una grave disabilità –. Il primo? Le difficoltà che la Chiesa locale e forse anche quella globale ha nel nostro tempo, in cui emergono crisi di fondo come quella della famiglia. In secondo luogo, la mancata disponibilità da parte dei credenti. Infine, la modesta frequentazione delle strutture ecclesiali da parte delle famiglie con figli disabili. Marco in parrocchia è uno dei pochissimi abituato ad andare con noi a messa, vuole fare la comunione e se gli gira storto pazienza: esco fuori con lui”. Per don Vasco Giuliani, presidente della Fondazione Opera diocesana d’assistenza Firenze onlus (Oda), “è difficile rilevare i bisogni di spiritualità di un disabile intellettivo, ma se vogliamo compiere un servizio alla dignità della persona dobbiamo individuare un linguaggio che superi quella che sembra una difficoltà di comunicazione insormontabile”. (lab)

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