Specialist people: l'autismo come ''alto potenziale di business''

TORINO. Nel film”Rain man. L’uomo della pioggia”, Raymond Babbit riesce a sbancare, con il calcolo delle probabilità, i temibili tavoli da black jack di Las Vegas. Alla tenera età di sette anni, invece, il Fred Tate de “Il mio piccolo genio” studiava fisica quantistica all’università di Cincinnati. Il cinema abbonda di narrazioni sui talenti, quasi soprannaturali, degli individui affetti da autismo.

Ma la vita, purtroppo, è più sfaccettata di come appare sul grande schermo. Non tutte le persone autistiche sono dotate di queste miracolose abilità. Ma è certo che molte di loro riescono a svolgere con disinvoltura mansioni che per il resto della popolazione possono risultare difficili, se non proprio alienanti. Per Thorkil Sonne, questo tipo di inclinazione equivale a un “alto potenziale di business”: la sua storia e il suo “investimento” sono raccontati nel numero 6/2013 di SuperAbile Magazine, la rivista sulla disabilità edita dall’Inail. Sonne è un informatico danese che ha scorto un’opportunità dove molte aziende continuano a vedere un limite. La sua fondazione si chiama Specialist people e si occupa di inserire nel mondo del lavoro persone affette da disturbi dello spettro autistico, nei settori della programmazione e della consulenza informatica.

Il nome stesso dell’organizzazione sta a indicare l’alto livello di specializzazione che gli autistici riescono a raggiungere in questo campo. È ormai dimostrato, per esempio, come nel collaudo del software gli individui con disturbi dello spettro autistico abbiano una percentuale di riuscita di dieci volte superiore rispetto ai cosiddetti neurotipici. E non è un caso se i 34 lavoratori autistici impiegati all’interno di “Specialisterne”, la società di consulenza informatica che opera all’interno della fondazione, prestano abitualmente i loro servizi ad alcune tra le maggiori aziende del settore.

Thorkil Sonne è entrato in contatto con questa realtà nel 2003, quando a suo figlio Lars, che aveva appena due anni, venne diagnosticata una forma di autismo infantile. Studiando il welfare nazionale, Sonne è giunto alla conclusione che il mondo del lavoro non avrebbe offerto a Lars le giuste opportunità. La sua risposta, quindi, è stata di ipotecare la casa di famiglia, utilizzando il denaro per dar vita a “Speciliasterne”, una piccola società di informatica che impiegasse persone con disturbi dello spettro autistico. Un posto dove “tratti caratteriali come l’attenzione maniacale ai dettagli e l’intolleranza agli errori, che generalmente isolano gli autistici dal mercato del lavoro, vengono valorizzati e ricercati”, recita la presentazione web.

Il modello di business si è dimostrato vincente e Sonne ha deciso di replicarlo su vasta scala. Oggi la fondazione “Specialist people” è attiva a livello internazionale e opera su più livelli, secondo uno schema chiamato “modello Dandelion”. Gli individui reclutati passano attraverso un periodo di formazione che va dai tre ai cinque mesi, allo scopo di farne emergere attitudini, punti di forza e di debolezza. Terminato il training, il 40% di loro viene assunto da Specialisterne, mentre gli altri sono guidati in un percorso di avviamento al lavoro. Ciò è possibile perché, oltre a formare le persone autistiche, Specialist people sta educando il mondo del lavoro a rapportarsi proficuamente con loro. Attualmente, infatti, l’organizzazione offre supporto e assistenza agli imprenditori che vogliano replicarne il modello di business. In questo modo, Thorkil e i suoi hanno creato un network di imprese che opera in tutto il mondo: tra i Paesi che hanno avviato una “Specialisterne operation”, figurano Scozia, Islanda, Stati Uniti, ai quali presto si aggiungerà la Spagna. Recentemente, al modello di Sonn e si è ispirato anche il colosso tedesco “Sap”: la più grande società di software in Europa ha infatti annunciato di voler assumere centinaia di lavoratori autistici, a cui affidare il controllo della qualità dei dati. Secondo quanto comunicato dall’azienda, entro il 2020 l’1% dei 65.000 impiegati del gruppo dovrebbero essere soggetti con disturbi autistici. L’obiettivo, naturalmente, è il miglioramento della qualità del lavoro e l’aumento della produzione: una speranza che si basa anche sui risultati dei due progetti sperimentali già avviati dalla stessa Sap in Irlanda e India, dove l’assunzione di alcuni lavoratori autistici ha portato giovamento alla produttività e alla motivazione del gruppo.

Cambiando il modo in cui i soggetti autistici vengono percepiti dal mondo del lavoro, Specialist people ha finito per realizzare un modello di innovazione sociale. “Le persone affette da forme di autismo ad alto funzionamento – spiega Ilaria Minio Paluello, ricercatrice del Laboratorio di neuroscienze sociali e cognitive dell’Università La Sapienza di Roma – potrebbero essere una grande risorsa per l’ambiente di lavoro. Sono estremamente affidabili, meticolose, attente ai dettagli. Sono capaci di concentrarsi per ore su compiti ripetitivi, come l’immissione dati”. Spesso queste capacità, fa notare la studiosa, “non vengono valorizzate per problemi di relazione: nel 2001 una ricerca ha mostrato che nel 90% dei casi le persone disabili perdono il lavoro per un deficit nella comunicazione sociale. Il che rappresenta proprio il primo e più grande limite delle persone autistiche”. Progetti come quelli di Specialist people o dell’inglese National authistic society, quindi, “funzionano perché offrono a questi ultimi e alle aziende gli strumenti per aggirare tali difficoltà”, conclude Minio Paluello. Oggi Specialist people si propone l’ambizioso obiettivo di creare un milione di posti di lavoro in tutto il mondo. Ma da qualche anno la fondazione si occupa anche di istruzione in senso lato. Nel settembre 2009, a Copenaghen, è partita la Specialisterne school, un istituto per ragazzi autistici dai 16 ai 24 anni che, oltre a fornir loro un’istruzione scolastica, li educa a interagire proficuamente con il mondo circostante, compensando il deficit nelle abilità sociali. (Antonio Storto)

 

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