Tutti al servizio del mio "Pulce"

TORINO. Su un set di solito si sente dire: «Buona per il suono!», «Buona per la fotografia!", e poi naturalmente «Buona per il regista», ma di rado si sente anche: «Buona per l'autismo!». Questo è lo spirito con cui è stato girato «Pulce non c'è», il film che Giuseppe Bonito ha tratto dal mio romanzo omonimo e con cui ha raccontato, o ri-raccontato, la storia di una famiglia che si trova a combattere con il suo amore contro l'inumanità delle istituzioni. Di fronte a una storia del genere, c'era solo un modo per non cadere nel patetismo o nella retorica e per mantenere la necessaria delicatezza che permette di gridare quando si denuncia una storia realmente accaduta: metterci tutta l'umanità possibile. È così che Marina Massironi ha passato le notti su youtube a studiarsi video sulla comunicazione facilitata; il regista Bonito ha impreziosito il racconto non con virtuosismi della macchina da presa, ma con la sua intimità e con il suo dolore; Pippo Del Bono si è calato nei panni di un padre su cui grava la più infamante delle accuse; e le due bambine protagoniste, Francesca Di Benedetto (Giovanna) e Ludovica Falda (Pulce) hanno portato la loro leggerezza e la loro inconsapevole magia lasciandosi dirigere come le più grandi attrici, ma senza pretese: tutti sono stati al servizio della storia, anche io ho dismesso i panni (che peraltro spero di non avere mai indossato) di scrittore attento a ciò che si trae dalla sua opera, e sono stata sul set tutti i giorni, a gridare «Buona per l'autismo!» (in fin dei conti, trattandosi della storia della mia famiglia ero io la maggiore esperta), e questo perché un solo pensiero ci ha mossi fin dall'inizio: quello di raccontare, con tutta l'onestà possibile, una storia che ha bisogno di essere diffusa, perché assomiglia a quella di molte famiglie che, purtroppo ancora oggi, vivono lo stesso dolore (l'autismo, di cui tanto poco si sa; e le centinaia di casi di falso abuso) in una solitudine inumana.

L'autrice, Gaia Rayneri

Condividi su Facebook