Si sperimentano ad altissimi dosaggi nelle bambine affette da sindrome di Rett

Il cervello è l'organo più "grasso" che abbiamo: il 60% del suo peso è costituito da lipidi e l'acido grasso Omega 3 DHA è uno dei più abbondanti. Così non stupisce scoprire che tantissimi degli studi sugli Omega 3 ruotano intorno a disturbi in cui le capacità cognitive sono compromesse: sono stati valutati ad esempio nel deficit di attenzione e iperattività, scoprendo che possono essere un (modesto) aiuto nei casi in cui i farmaci non si possono dare o vengono rifiutati dalla famiglia. E sulle sindromi autistiche si sono avuti risultati interessanti: Claudio De Felice, neonatologo del Policlinico Le Scotte di Siena, ha ad esempio riscontrato che in bambine con la sindrome di Rett (una malattia dello spettro autistico che si manifesta con gravi difficoltà motorie e perdita del linguaggio) è possibile migliorare alcune capacità motorie, la comunicazione non verbale e le difficoltà respiratorie dando per 6 mesi un supplemento di Omega 3 a una dose di circa 250 milligrammi per chilo. L'essenziale è arrivare presto: le bambine coinvolte nella sperimentazione infatti si trovavano nello stadio iniziale della malattia, quando compaiono i primi segni di regressione dello sviluppo psicomotorio, la disattenzione verso l'ambiente circostante e i primi movimenti stereotipati. «In passato avevamo visto parziali miglioramenti in pazienti Rett in stadio più avanzato racconta De Felice . L'ipotesi è che nella sindrome di Rett ci sia uno stress ossidativo in grado di influenzare l'espressione dei geni alterati alla base della malattia e che tale stress preceda e accompagni l'arrivo dei sintomi. Per cui abbiamo voluto capire che cosa accade nel primo stadio, pensando di poter interferire in qualche modo con la "cascata" che porta ai segni clinici. Il nostro studio pilota indica che è possibile: l'intervento, benché breve, ha modificato parametri biochimici , e soprattutto, segni clinici senza effetti indesiderati. Le bambine infatti respiravano meglio, avevano meno difficoltà a muoversi e a stare sedute, riuscivano a usare in maniera più finalizzata le loro mani; anche i parametri biochimici indicativi di stress ossidativo erano migliorati, ma soprattutto abbiamo visto un incremento nettissimo delle capacità di comunicazione non verbale. Non è chiaro perché gli Omega 3 siano così efficaci: potrebbero rimpiazzare gli acidi grassi delle membrane cellulari "consumati" dall'ossidazione cronica che c'è in caso di sindrome di Rett, ma anche agire sul metabolismo delle cellule o avere effetti grazie a loro metaboliti secondari». Qualunque sia il meccanismo, il risultato è stato sorprendente, tanto che De Felice ipotizza che gli Omega 3 potrebbero essere dati fin dalla nascita a tutti i bambini per ridurre i possibili danni in caso di malattie dello spettro autistico: tutte sono accomunate infatti da un grado più o meno consistente di stress ossidativo e forse gli Omega 3 potrebbero aiutare a ridurre i sintomi senza il prezzo di effetti collaterali seri. Per il momento, tuttavia, le conclusioni in tema di Omega 3 e autismo non sono certe e anche se già oggi questi acidi grassi sono la terapia complementare più usata nell'autismo (li sceglie quasi una famiglia su tre) e alcune ricerche possano far ben sperare, non ci sono ancora dati sicuri soprattutto perché le sperimentazioni cliniche controllate sono poche e hanno coinvolto un numero di bambini finora abbastanza contenuto. La più recente revisione sul tema pubblicata nel maggio scorso nel database della Cochrane Collaboration, ente di ricerca indipendente per la valutazione degli studi scientifici, indica proprio la necessità di ulteriori indagini e De Felice concorda: «Restano aperte molte domande: dovranno essere fatti studi più ampi per confermare i dati di efficacia, ma anche chiariti i dosaggi più appropriati, la durata del trattamento e l'eventuale formulazione chimica dei supplementi per i bambini affetti dalle diverse sindromi dello spettro autistico», conclude l'esperto.

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