Il bambino di porcellana

 Il bambino di porcellana - La Nuova Sardegna del 07-02-2012

Condaghe ripubblica il racconto di Franco Enna su un ragazzino che esce dal tunnel dell’autismo. Un gioco sottile e difficile di frantumazioni che ha come posta il recupero della parola

Un piccolo long seller sull’autismo. Il libro di Franco Enna «Danin d’argento - Il bambino di porcellana», ripubblicato da Condaghes (192 pagine, 10 euro, collana «Il trenino verde») viaggia dal 1988, quando uscì la prima volta nelle edizioni Juvenilia. Condaghes lo ha già pubblicato nel 2000, sempre con le illustrazioni di Bruno Enna, figlio di Franco, che commentano in maniera efficace i contenuti del romanzo. Danin è un bambino di porcellana. Scrive il neuropsichiatria infantile Michele Zappella nella prima edizione che alla gente normale «questo bambino potrà dare un’immagine di immobilità: come fosse di porcellana e quindi non vero sino in fondo». Una mancanza di autenticità che affonda nella mancanza di parola, nell’afasia, nella confusione della parola. Tale è il bambino Danin d’argento. Enna, uomo di scuola e persona della fiaba come raccontatore e interprete, dice di Danin avendo a referenti narratologici il «Peter Pan» di Barrie, «Il gigante egoista» di Oscar Wilde e «Pinocchio» di Collodi. Ci potrebbe essere un significante sardo della parola «porcellana». In alcune zone viene detta «lagìna». Per significare che ci sono confusione e rottura si dice: «Jà b’er vonu su jocu ‘e sa lagìna, c’è davvero un bel giocare - come rompere - di porcellana». Un gioco di frantumazioni che però offre possibilità di recupero della parola. A questo concorre la narrazione di Enna. Il bambino Danin vive del fascino e insieme del rigore della fiaba. La sua ordinaria solitudine necessita di una straordinaria afasia per pretendere di guarire. Tutto inizia quando un giorno la vita del professore di pietra pomice (il gigante egoista) viene sconvolta dall’incontro con Daniele, un bambino che parla con le galline. Per il professore e per Emilia, la sua donna di servizio, questa di Daniele, appunto Danin come imperfezione di pronuncia, potrebbe essere una quieta presenza. Basta lasciarlo razzolare nel proprio mondo, ché tanto mica si guarisce dall’autismo. Invece non è così. Daniele rappresenta un “apparir del vero” e smuove il tempo ossificato e immobile, fermo, di pietra, del professore. Il bambino costringe i due grandi a un viaggio. Qui entrano in funzione gli artifici di costruzione del testo dell’Enna narratore e dell’Enna uomo di scuola. Il viaggio fantastico che i tre intraprendono li porterà alla graduale scoperta del Mondo Bambino che tanto somiglia al pianeta del «Piccolo principe» di Antoine de Saint Exupéry. Il Mondo Bambino cresce sotto le radici di un’isola galleggiante e anche quest! a ha diverse analogie con quella del «Peter Pan». È un mondo, quello dove i tre arrivano, che sovverte la concezione che dell’armonia del cosmo e dei suoi pianeti hanno Emilia e il professore di pietra pomice. È un mondo alla rovescia, nella visionarietà antropologica sempre un mondo di diversi e di folli, di afasici. Entrarci diventa imperativo categorico per Emilia e il professore. Un’entrata che significa comprensione di quel mondo diverso: per far sì che Daniele recuperi se non tutte perlomeno una parte delle parole rubategli dai «Fetenti». In crescendo, tra nuove apparizioni e trasformazioni, si arriva al drammatico finale: quando il professore ed Emilia ricompongono in un unico il bambino-persona e il bambino-ombra. Riportano Danin a un senso finora sconosciuto di responsabilità. Dice il narratore: «Il sogno era luce, gioia, armonia, la realtà era buio, paura, angoscia». Per guarire bisogna attraversare l’angoscia della frantumazione della porcellana. Una fiaba intrigante raccontata come devono essere raccontate le fiabe, linguaggio piano ma allo stesso tempo fascinoso. Questo «bambino di porcellana» continua così a essere fatto letterario e campo di sperimentazione e di ricerca. Scrivevo vent’anni fa nella «Parola scomposta» che «Danin d’argento» è una «affabulazione pedagogica di cui si ha tanto bisogno in un mondo non a misura di bambini». Tale rimane.

di Natalino Piras

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