Vittime dimenticate di violenza

MILANO. Chi ha una disabilità è più a rischio di subire violenza e maggiormente vulnerabili sono coloro che soffrono di malattie mentali. Lo evidenziano ricercatori della John Moores University di Liverpool in uno studio commissionato dal Dipartimento «Prevenzione della violenza e disabilità» dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e pubblicato di recente sulla rivista scientifica . Gli autori hanno passato in rassegna 26 ricerche che negli ultimi 20 anni hanno coinvolto circa 21mila adulti con disabilità di diversi Paesi del mondo: Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Taiwan e Sud Africa.

LIMITI DELLO STUDIO. «Circa il 3% degli intervistati ha dichiarato di essere stato vittima negli ultimi 12 mesi di episodi di violenza, ma la percentuale sale quasi al 24% quando si tratta di persone con disabilità intellettiva - riferisce Mark Bellis, coordinatore del team di ricercatori -. Secondo il nostro studio, si tratta di un problema molto diffuso ma ancora sottostimato». «Mancano dati certi anche perché la violenza nella maggior parte di casi avviene in ambienti familiari o di cura - commenta Giampiero Griffo rappresentante italiano dell’Edf, l’European Disability Forum -. Le vittime, soprattutto coloro che hanno una disabilità intellettiva, spesso non sono in grado di difendersi o non riescono a denunciarla proprio perché ricevono il sostegno necessario dalla famiglia o dall’assistente personale. In base alle segnalazioni che ci arrivano dalle associazioni di persone con disabilità, risulta che la violenza può essere diretta, quindi fisica o sessuale, ma avvenire anche in forma di discriminazioni e pregiudizi».

I PIÙ VULNERABILI. Lo conferma lo studio pubblicato su Lancet. La violenza a volte è esplicita, altre subdola: si va dallo stalking alle molestie verbali per strada, dalle percosse all’abuso sessuale. Ma anche vessazioni, discriminazioni e stigma, ancora diffuso nei confronti di chi ha una disabilità intellettiva. Secondo i ricercatori, possono essere tanti i motivi che fanno aumentare il rischio di violenza: chi ha una malattia mentale è più fragile nelle relazioni personali, è spesso escluso dal mondo del lavoro, ha ridotte “difese” a livello fisico ed emotivo, deve affrontare le barriere della comunicazione che impediscono di fare la denuncia. Allora, secondo gli studiosi, servono screening delle persone più vulnerabili per capire i reali rischi che corrono e quali possono essere i fattori di protezione, in modo da attivare interventi di prevenzione e dare risposte alle vittime dimenticate della violenza. «È un problema innanzitutto culturale - fa notare Griffo -. Le stesse barriere che s’incontrano ogni giorno limitano la possibilità di partecipare in modo attivo alla vita sociale. E se la società non offre pari opportunità, si è più fragili».

DIRITTI UMANI. «Si tratta di rispettare diritti umani, come sottolinea anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità - sottolinea Rita Barbuto, direttrice della sezione italiana di Disabled People International -. A livello internazionale esistono ancora molte difficoltà a frequentare la scuola, oltre che a trovare un lavoro o, per esempio, a spostarsi coi mezzi pubblici. Discriminazioni che anch’esse costituiscono una forma di violenza. Le donne con disabilità poi - aggiunge Barbuto - sono spesso doppiamente discriminate, sia in quanto persone con disabilità sia in quanto donne. Per loro, ad esempio, diventa complicato anche fare una mammografia o una visita ginecologica». Inoltre, aggiunge Griffo: «La violenza sulle donne con disabilità in alcuni Paesi del mondo, come l’Africa centrale, viene addirittura considerata un portafortuna. Nella vicina Francia, poi, esiste una legge che permette, quando c’è il consenso dei genitori, la sterilizzazione delle donne con disabilità intellettiva ricoverate in istituto».

di Maria Giovanna Faiella

 

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