Disabilità. Non convegni, ma risposte ai bisogni: ecco le barriere ancora da abbattere

Domani 3 dicembre è la Giornata internazionale delle persone con disabilità, istituita trent’anni fa dalla Commissione europea, estesa quindici anni dopo dall’ONU a tutto il mondo. A livello istituzionale c’è stato un indubbio aumento della consapevolezza delle difficoltà in cui le persone con disabilità si imbattono ogni giorno, dal momento che sono ancora moltissime le situazioni e le circostanze che limitano il loro accesso a diritti civili e sociali e precludono a loro e alle loro famiglie numerose opportunità a cui avrebbero diritto come tutti gli altri e in molti casi più di tutti gli altri. Sussiste il rischio dell’isolamento, della marginalità, dell’impoverimento economico e sociale che minacciano la loro inclusione nella diversità dei contesti in cui vivono: la famiglia, la scuola, il lavoro, il tempo libero. Parlare con loro e per loro di pari opportunità è ancora un eufemismo.

Servono politiche, servizi, risorse, culture, che ancora oggi sono deboli e insufficienti, perché non sono delineati con sufficiente chiarezza e rigore obiettivi, azioni e progetti in grado di coinvolgere le persone con disabilità in una intensa azione di partecipazione condivisa con i corresponsabili delle diverse iniziative nelle comunità in cui vivono. Sono le prime barriere “architettoniche” da abbattere perché tra il mondo della disabilità e la società civile si crei una effettiva condivisione di idee e di competenze capaci di sviluppare l’inclusione sociale e la costruzione di condizioni di vita migliori per tutti, a partire dalle persone che affrontano una situazione di disagio o di difficoltà.

In ogni caso, a trent’anni dall’istituzione di questa giornata sono due i punti chiave su cui insistere: il primo riguarda la scuola e la formazione, il secondo il mondo del lavoro. Due ambiti essenziali sia in chiave di sviluppo di capacità e competenze, sia in chiave preventiva per evitare difficoltà e disagi aggiuntivi.

Riguardo alla scuola occorre rimarcare che davanti alle molteplici forme di disabilità che i ragazzi possono presentare la grande occasione mancata è quella degli insegnanti di sostegno e della loro preparazione, troppo spesso inadeguata alle esigenze reali di questi ragazzi. Il vizio di forma che è alla base dell’attuale modello di docente di sostegno è la falsa credenza che possa bastare una competenza generalista per poter riassorbire le molteplici differenze di sostegno a cui questi ragazzi hanno diritto. Disabilità fisiche, sensoriali, cognitive, sociali e relazionali esigono una tipologia di intervento specifico che oggi la scuola nega loro, nonostante l’indubbio investimento che esiste sotto il profilo numerico dei docenti. I dati ISTAT ci dicono che sono stati oltre 207mila gli insegnanti per il sostegno impiegati nelle scuole italiane nell’anno scolastico 2021/2022. Quasi 200mila nella scuola statale (fonte Miur) e più di 7mila nella scuola non statale (fonte Istat), in crescita di oltre 16mila unità rispetto all’anno scolastico precedente (+8% registrato quasi esclusivamente nella scuola statale).

La figura dell’insegnante di sostegno in Italia è stata introdotta nella scuola dell’obbligo con la legge 517/1977. Evidentemente il legislatore cinquant’anni fa prendeva atto che, dietro le difficoltà di apprendimento di un ragazzo, ci potessero essere delle cause per cui occorrevano interventi specifici, da parte di persone particolarmente competenti, specializzati in diversi ambiti a seconda delle esigenze dei ragazzi proprio per favorirne l’inclusione e l’apprendimento. A cinquant’anni dalla sua istituzione, il modello di formazione, di selezione e di assegnazione del docente di sostegno a ciascun bambino con la sua disabilità non è considerato soddisfacente dalla maggioranza dei genitori, per cui nonostante le norme, le sollecitazioni internazionali a livello europeo e globale, il diritto all’istruzione-formazione dei ragazzi con disabilità resta incompiuto.

Recentemente il ministero dell’Istruzione e del Merito ha diffuso una nota, la 5127 del 30 novembre 2023, con cui invita le istituzioni scolastiche a realizzare iniziative di sensibilizzazione e formazione sui temi relativi alla disabilità, con l’obiettivo di sviluppare nuovi strumenti, strategie e risorse per favorire l’inclusione, da sempre punto di forza del sistema educativo italiano. Una lodevole iniziativa che, se non inizia con una riflessione coraggiosa sugli insegnanti di sostegno, sulla loro competenza specifica e sulla loro disponibilità reale è destinata ad alimentare dibattiti e conferenze, ma non ad offrire risposte realmente efficaci ai bisogni dei ragazzi con disabilità.

L’altro ambito in cui occorre concentrare la propria attenzione è quello dell’inserimento lavorativo. Nonostante ci siano delle leggi, e anche delle buone leggi che prevedono l’inserimento delle persone con disabilità in vari contesti lavorativi, i risultati sono anche in questo caso insoddisfacenti, per una molteplicità di motivi.

Da pochi anni è nata l’Agenzia nazionale disabilità e lavoro (Andel) che pone al centro della soluzione al problema il coinvolgimento delle associazioni dei disabili. È questo il vero fattore di innovazione sociale, poiché rende queste associazioni coprotagoniste dell’inclusione lavorativa e consente la disponibilità di risorse aggiuntive provenienti da varie fonti: progetti nazionali e europei, fondazioni. La persona disabile tramite la sua associazione diventa protagonista del suo percorso di avvicinamento al lavoro. Si tratta di creare una Disability Inclusion Road Map, per favorire lo sviluppo di una cultura in cui la persona con disabilità venga riconosciuta come una risorsa e non come un semplice adempimento di legge.

Occorre facilitare l’inclusione delle persone con disabilità pensandola come un diritto che non può e non deve rimanere come una semplice dichiarazione d’intenti. I diritti per essere reali devono poter essere esigiti anche dalle persone più fragili. Per questo però non bastano le leggi, necessarie ma insufficienti, occorre la partecipazione di rappresentanti del mondo dell’impresa e delle istituzioni per confrontarsi sulle sfide più urgenti della disabilità, affinché all’interno delle diverse professioni si sviluppi un autentico percorso di crescita relazionale e occupazionale per le persone con disabilità.

Quest’anno la giornata del 3 dicembre vede un importante passo in avanti con l’istituzione del recente Osservatorio sulla Disabilità, che si è insediato il 7 novembre 2023 e si è impegnato ad affrontare questioni fondamentali legate alla diversity & inclusion nell’ottica di innescare e rafforzare una nuova responsabilità sociale, valorizzando le differenze e generando innovazione. La disabilità è un concetto in evoluzione ed è il risultato dell’interazione tra persone con impairments, ossia con difficoltà fisiche, mentali, intellettive o sensoriali, e le barriere che incontriamo sia negli atteggiamenti, nei rapporti umani, che nell’ambiente, per esempio le barriere architettoniche. Le une e le altre, le barriere fisiche e quelle relazionali, ostacolano l’effettiva partecipazione alla società, delle persone con disabilità: rimuoverle è in diverso modo e in diversa misura responsabilità di tutti noi; comincia nella scuola, si estende al mondo del lavoro, ma investe tutta la società nel suo insieme.

In conclusione vale la pena ricordare che il riconoscimento della condizione di disabilità in Italia si fonda sulla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, la CRPD (Convention on the Rights of Persons with Disabilities) e sulla Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (OMS, 2001). Stiamo parlando di un trattato internazionale finalizzato a combattere le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani.

Paola Binetti

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