Dalla parte dei ragazzi autistici offesi

«Il problema – scrive Gianfranco Vitale, commentando la Sentenza di Primo Grado che ha assolto per insufficienza di prove gli operatori di un Centro Diurno marchigiano, accusati di violenze e maltrattamenti nei confronti dei giovani ospiti con autismo – non è dividersi tra innocentisti e colpevolisti, tra garantisti e giustizialisti, ma tra un’idea o no del diritto che, nel caso della Casa di Alice di Grottammare, fa terra bruciata della dignità di persone fragili e indifese, messe alla mercé di pratiche di contenzione, che ingenuamente pensavamo fossero stati definitivamente rimosse»

È di qualche giorno fa la notizia dell’assoluzione, per insufficienza di prove, degli imputati nel processo per i fatti della Casa di Alice, il Centro Diurno di Grottammare (Ascoli Piceno), destinato ad accogliere ragazzi autistici tra gli otto e i vent’anni [di tale vicenda anche «Superando.it» si occupò ampiamente al momento dei fatti. Si vedano a tal proposito i testi elencati nella colonnina qui a destra, N.d.R.].
I presunti responsabili erano stati arrestati a seguito del blitz del carabinieri del NOR (Nucleo Operativo Radiomobile) di San Benedetto del Trento nel luglio 2014, che avevano piazzato telecamere nascoste all’interno del Centro. In un mese e mezzo di registrazioni, le telecamere avevano ripreso spintoni e video di ragazzi, anche denudati, chiusi per ore in una stanza di contenimento per le crisi (di appena 11 metri quadrati), la famigerata “stanza azzurra”.
Nel corso del processo, i media hanno dato notizia della testimonianza, fra gli altri, di uno degli educatori del Centro, che ha riferito di comportamenti messi in atto da alcuni colleghi nei confronti dei ragazzi ospiti della Casa di Alice, compresa la mattina in cui uno di loro, che si trovava nella “stanza azzurra”, lanciò una scarpa contro un vetro nel tentativo di liberarsi. Dalla testimonianza è emerso inoltre che nella stanza i ragazzi venivano chiusi per intere mezze giornate e in alcuni casi a due fratelli ospiti della struttura non veniva consegnato il panino preparato per il pranzo. Si è infine appreso che altri ospiti non venivano accompagnati in bagno finendo per farsi la pipì addosso.
In base a queste prove, il Pubblico Ministero aveva chiesto la condanna a sei anni per il coordinatore della struttura e a quattro anni e mezzo per quattro educatrici accusate di maltrattamenti e sequestro di persone.
La Sentenza di Primo Grado è stata pronunciata, dopo una lunga Camera di Consiglio, in base all’articolo 530, comma 2 del Codice di Procedura Penale, stabilendo «l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove», perché «il fatto non costituisce reato e manca il dolo». Come dire – ma questo per ora possiamo solo intuirlo – che gli imputati, anziché porre in essere comportamenti gravemente inumani (come documentato dalle telecamere e ribadito da testimoni) avrebbero agito per “fini educativi”!

In casi del genere si dirà che occorre attendere il dispositivo della Sentenza per conoscerne le motivazioni. Da genitore di un soggetto autistico adulto e da ex insegnante mi sia consentito, per una volta, di non aderire a questa prassi, pur avendola ampiamente studiata durante i miei (ahimè) antichi studi universitari.
Qui il problema non è dividersi tra innocentisti e colpevolisti, tra garantisti e giustizialisti, ma tra un’idea o no del diritto che, nel caso specifico della Casa di Alice, fa terra bruciata della dignità di persone fragili e indifese, quei i ragazzi autistici giovanissimi che nell’allucinante vicenda della struttura di Grottammare sono stati messi alla mercé di pratiche di contenzione, le quali non possono non richiamare alla mente metodi manicomiali che avrebbero fatto impallidire Basaglia e che ingenuamente pensavamo fossero stati definitivamente rimossi.
La mia convinzione è che questa Sentenza si possa spiegare solo con l’insistenza di un grave deficit culturale e di conoscenza dell’autismo che non risparmia nessuno, nemmeno magistrati esperti in altri campi o periti di parte, altrettanto bravi nel presentare dotte relazioni, ma che nella vita non hanno mai incontrato un autistico in carne ed ossa.

Pensare che ai comportamenti problematici delle persone autistiche si debba rispondere solo mettendo in campo quel triste repertorio di brutalità che le immagini di telecamere nascoste – oggi la Casa di Alice, ma appena ieri altri Centri tristemente balzati agli onori della cronaca, hanno messo crudamente davanti ai nostri occhi – è letteralmente folle e ciò dev’essere detto con estrema forza e convinzione, pur nel rispetto dei ruoli di ciascuno.
Il ricorso a certe misure contenitive è semplicemente raccapricciante e miserabili sono i paraventi con cui si cerca di nascondere questa verità. È una meschina bugia quella secondo cui non ci sarebbero alternative alla costrizione per fronteggiare comportamenti potenzialmente pericolosi di natura auto ed etero aggressiva dei soggetti autistici. Per capirlo basterebbe leggere gli atti elaborati dalla comunità scientifica internazionale che nel respingere certe odiose pratiche, figlie del pressappochismo e dell’incultura, sollecitano gli operatori del settore a indagare innanzitutto le cause che conducono persone vulnerabili , come i nostri figli, a star così male fino a rimanere impotenti di fronte a offese, umiliazioni e abusi di ogni genere, consumati ai loro danni.

Sentire parlare di assoluzione per “insufficienza di prove”, al termine di quattro anni di indagini e udienze in cui di prove e testimonianze ne sono state raccolte a iosa, interroga la coscienza di tutti noi e pone inquietanti dubbi sul significato della parola “giustizia”.
Chi restituirà a questa persone indifese, molte delle quali minorenni, la dignità perduta?Chi ripagherà le loro famiglie del dolore che hanno vissuto dopo avere visto le immagini dei loro figli denudati e presi a schiaffi in quell’agghiacciante bunker chiamato “stanza azzurra” dove venivano sequestrati? Quali altre prove – a parte l’esibizione di un cadavere – servono, prima di arrivare a una condanna esemplare che rappresenti un precedente e un monito atto a scongiurare che certi fatti si ripetano?

Mi sento di essere pienamente al fianco di tante persone ferite da una Sentenza che avverto ingiusta e disumana. Provo ribrezzo, non altro. È un’indignazione che non riesco e non voglio simulare. Spero che in appello si ripari a quello che definisco, da privato cittadino padre di un figlio autistico, un gravissimo affronto in danno di persone impossibilitate a difendere i loro diritti, le loro ragioni, la loro dignità di esseri umani!

di Gianfranco Vitale padre di un uomo autistico di 37 anni (www.facebook.com/autismoIN).

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