Quando il dolore non ha voce

RIMINI. Chiusi in loro stessi, restii a comunicare e a socializzare. O, nei casi più gravi, aggressivi con se stessi, dal linguaggio non sviluppato e con un profondo ritardo mentale: sono bimbi e ragazzi autistici. A Rimini, sono 170 i casi seguiti dal Centro autismo: il 30 per cento di questi sono “complessi”, il 3% davvero gravi. E non mancano le “coincidenze” più difficili da gestire: almeno cinque coppie, in territorio, hanno entrambi i figli affetti dalla sindrome, e due – seguite dal centro – hanno un figlio con sindrome di Down e un altro autistico. «Situazioni limite, ma la vera disperazione la vedi quando la persona autistica in casa diventa una limitazione assoluta alla vita sociale: e noi, di famiglie disperate, ne vediamo tante», ricorda Enrico Fantaguzzi, presidente di Rimini autismo. Proprio per sensibilizzare al tema, l’associazione e il Consorzio Down Town, con Comune e Provincia, organizzano un ciclo di incontri al cinema Settebello. Tre film! d’autore: si comincia lunedì alle 20.45 con “The black ballon di Elissa Down”. Il Centro autismo, inserito nell’unità di neuropsichiatria infantile, è costituito da un’equipe multidisciplinare composta da 13 specialisti: quattro psicologi, due medici neuropsichiatri, due logopedisti, cinque educatori. Quello di Rimini è uno dei tre centri di riferimento regionali. Nel corso degli anni, il trattamento dello spettro autistico si è affinato: oggi, grazie alla specializzazione e agli studi, sono sempre più frequenti le diagnosi precoci. Se di norma, l’autismo in un bimbo viene individuato dopo i tre anni di vita, negli ultimi anni sono aumentati i casi di piccoli pazienti, ai quali, già a due anni, è stata diagnosticata una forma di autismo: dal 2008 al 2011, sono passati da due a sei i casi di diagnosi alla tenera età di 24 mesi. «Fino a cinque, dieci anni fa – spiega la dottoressa Serenella Grittani, neuropsichiatra responsabile del Centro autismo dell’Ausl di Rimini -, si credeva che l’autismo fosse solo infantile e venivano quindi cambiate” le diagnosi sui maggiori di 18 anni». In base ai dati raccolti dall’equipe della dottoressa Grittani, il 30% dei casi di norma si associa ad epilessia, e sono frequenti anche gli episodi di autolesionismo. «Nelle forme più gravi – spiega la specialista –, il linguaggio non si sviluppa, il ritardo mentale è profondo, ci verificano comportamenti aggressivi e sono assenti altre forme di comunicazione». Lo spettro aumenta nei maschi: a fronte di una femminuccia autistica, si contano tre maschi con la sindrome; ma proprio nelle donne, i dati nazionali dicono che l’incidenza sia in aumento. Nel 2004, l’1,7 per mille mostrava importanti alterazioni alla comunicazione e all’integrazione sociale: nel 2009 il tasso è aumentato a 2,2 per mille. Questo, per molteplici motivi: tra tutti, l’aumento di sorveglianza e l’allargamento dei criteri diagnostici. Ma, dalla sindrome si può guarire? «Di certo si può migliorare. Ma anche noi abbiamo avuto i nostri! “miracoli”. Di 170 casi “in cura” – ricorda soddisfatta la dottoressa Grittani - tre bimbi dopo una diagnosi precoce, sono guariti a quattro anni di età. Ma era davvero autismo? Oggi non possiamo dirlo».

di Patrizia Cupo

Condividi su Facebook