Troppi luoghi comuni caccia alle vere cause

Non vi è alcuna evidenza scientifica dell'esistenza di un legame tra l'uso di farmaci antidepressivi in gravidanza e lo sviluppo di autismo: Anzi, la depressione in gravidanza, se non curata adeguatamente, può portare a serie complicanze fisiche e psicologiche sia per la madre che per il bambino. È la conclusione cui è giunto lo psichiatra Marco Bertelli, direttore del CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze) e presidente della sezione per la disabilità intellettiva della World Psychiatric Association.
Bertelli e i suoi collaboratori hanno sottoposto a revisione sistematica le ricerche sull'argomento, dopo che alcune avevano suggerito un aumento del rischio di sviluppare disturbi dello spettro autistico per bambini esposti ad antidepressivi nella vita intrauterina. Ma mentre questi studi non tenevano conto di altri possibili fattori, una ricerca danese su oltre 660.000 nati tra il 1996 e il 2006 ha evidenziato che è proprio la depressione materna, e non l'uso di antidepressivi, ad aumentare il rischio.
Alterazioni nel processo di sviluppo e differenziazione del sistema nervoso, legate a fattori genetici o ambientali, intervengono nell'autismo così come in altre sindromi neuropsichiatriche, come le psicosi, i disturbi bipolari e l'ADHD, altra condizione che un recente studio americano ha associato agli antidepressivi somministrati in gravidanza, indipendentemente dalla presenza di depressione materna. Bertelli, sottolineando l'estrema cautela necessaria nella prescrizione di farmaci in gravidanza, ricorda che la depressione può colpire, con conseguenze potenzialmente gravi, più di una donna incinta su 5. E ritiene che la difficoltà di comprendere e di accettare un disturbo grave come l'autismo faciliti il ricorso a spiegazioni semplicistiche e non dimostrate, come quella, riportata recentemente all'attualità da una sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano, che individua nelle vaccinazioni obbligatorie per l'infanzia un possibile fattore causale, nonostante riviste autorevoli come Lancet e la stessa Organizzazione mondiale della sanità abbiano smentito ogni evidenza di correlazione tra autismo e vaccini infantili. Le infezioni virali, facilitate da un eventuale calo delle adesioni ai programmi vaccinali, rappresentano invece un comprovato fattore di rischio per lo sviluppo di disabilità intellettiva.
Un altro filone di studio, che arricchisce la ricerca genetica in costante avanzamento (da poco identificato all'Università di Leeds un gene, chiamato neurexina-II, implicato nel funzionamento delle sinapsi, la cui carenza potrebbe essere associata a tratti autistici), è quello dell'ereditarietà epigenetica, non legata cioè a cambiamenti nella sequenza del Dna: fattori stressanti di vario tipo durante la gravidanza potrebbero influenzare il neurosviluppo del nascituro non attraverso modifiche della struttura dei geni, ma della loro espressione.
La diagnosi di disturbi dello spettro autistico negli Stati Uniti è aumentata del 30% negli ultimi due anni. Parallelamente a tale impennata diagnostica si è diffusa la cultura della neurodiversità, che affonda le proprie radici nelle neuroscienze e nella psicologia evoluzionistica e che considera l'autismo nelle sua varie forme una variante evolutiva del normale cervello umano. L'autismo senza disabilità intellettiva (sindrome di Asperger), ad esempio, può associarsi a un particolare corredo di abilità (concentrazione a lungo termine, identificazione di regole logiche, elaborazione delle informazioni visive, memoria rievocativa) superiori a quelle dei soggetti "neurotipici", vale a dire normali dal punto di vista del neurosviluppo, che rende i soggetti Asperger particolarmente portati per l'informatica, l'elettronica, la meccanica e diversi settori della ricerca scientifica e tecnologica. Questa neurodiversità si esplica però anche nelle relazioni con gli altri, contribuendo alla peculiarità di queste persone e rendendo talvolta problematiche le loro interazioni sociali. Un recente studio franco-canadese ha infatti dimostrato, nella sindrome di Asperger, una modalità del tutto originale di immagazzinare le informazioni visive per attribuire stati emotivi a immagini fotografiche di volti umani.

FRANCESCO CRO,
Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale, Viterbo

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